“Ciononostante, dobbiamo creare una musica che sia come un arredamento – una musica, cioè, che sarà parte dei rumori dell’ambiente, che li prenderà in considerazione. La penso melodiosa, che ammorbidisca i rumori di coltelli e forchette, non che domini, non che s’imponga. Riempirebbe quei gravi silenzi che a volte cadono fra amici che cenano insieme. Risparmierebbe loro il disturbo di stare attenti ai propri stessi commenti banali. E allo stesso tempo neutralizzerebbe i rumori della strada che entrano con tanta indiscrezione nel gioco della conversazione. Fare una tale musica sarebbe rispondere a una necessità.”
Erik Satie
Eno è stato il teorico più coerente di una musica che “facesse ambiente” da un lato, e che derivasse da precisi principi dall’altro. Una musica in cui il ruolo del creatore fosse semplicemente quello di predisporre un sistema, in questo caso un insieme di due registratori in serie, come da diagramma, che producono un costante “ritorno” di tutti i suoni immessi, con uno strano miscuglio di ripetizione e calma inesorabilità.
Discreet Music
Dato che ho sempre preferito fare piani che eseguirli, ho sempre gravitato verso situazioni e sistemi che, una volta resi operativi, potessero creare musica con un intervento minimo o nullo da parte mia.
Come dire che io tendo al ruolo di pianificatore e programmatore, e poi divento parte del pubblico del risultato.
Questo album esemplifica due modi di soddisfare questo mio interesse. Discreet Music è un approccio tecnologico al problema. Se esiste uno spartito per questo pezzo, non può che essere il diagramma operativo dello specifico apparto che ho usato per la sua produzione. La configurazione chiave qui il lungo sistema di eco ritardato su cui sperimento da quanto mi sono reso conto delle possibilità musicali dei registrati a nastro, nel 1964. Avendo messo in opera questo apparato, la mia partecipazione a quanto ha fatto ion seguito si è limitata (a) a fornire un input (in questo caso, due linee melodiche semplici e mutuamente compatibili di durata diversa, immagazzinate in un sistema digitale, e (b) occasionalmente alterare il timbro dell’output del sintetizzatore usando un equalizzatore grafico.
È una questione di disciplina, accettare questo ruolo passivo e , per una volta, ignorare la tendenza fare l’artista, giocando e interferendo. In questo caso, mi aiutava l’idea che quanto stavo facendo fosse semplicemente uno sfondo per le improvvisazioni del mio amico Robert Fripp in una serie di concerti che stavamo programmando. La nozione di questa utilità futura, insieme al mio gusto per i “processi graduali” mi ha impedito il tentativo di creare sorprese e cambiamenti meno che prevedibili nel pezzo. Cercavo di fare un pezzo che si potesse ascoltare, ma anche ignorare… forse nello spirito di Satie che voleva fare musica che potesse “ammorbidire i rumori di coltelli e forchette a cena”
Brian Eno, 1976